sabato 10 dicembre 2011

Palazzo Carignano

Torino, si sa, nasconde bene i suoi tesori. Se girando per le vie del centro e osservando i palazzi se ne ammira l'ordine e il rigore, è solo da un portone aperto, da una finestra lasciata chiusa a metà che si può sbirciare nei privatissimi interni per farsi un'idea dello splendore che ci circonda. Tuttavia l'eccezione è dietro l'angolo.
Palazzo Carignano è il prodotto della fervida immaginazione di un altro grande protagonista del Seicento torinese ed italiano, ma anche internazionale: Guarino Guarini. Modenese, teatino, piuttosto sfortunato in quanto buona parte delle sue opere maggiori sono andate distrutte in terremoti, incendi, demolizioni. Ciò non toglie che a Torino si conservi quello che è considerato uno degli edifici più rappresentativi del barocco europeo (si parla di palazzi, non di chiese), proprio il Palazzo commisionatogli negli anni '70 del Seicento da Emanuele Filiberto detto il sordomuto, secondo principe di Carignano e attento cultore delle arti. Con un'occhiatina ai progetti per il Louvre (mai messi in opera) del Bernini, Guarini realizza un edificio la cui caratteristica principale è l'alternanza di concavità e convessità della facciata, che segue nella parte centrale l'andamento del salone centrale, insolitamente ovale; lo stesso dove poco meno di due secoli dopo venne allestita la prima Camera dei Deputati.
Sede della Soprintendenza ai Beni Storico-Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, nonché del Museo del Risorgimento nella parte ottocentesca, ha riaperto le porte al pubblico quest'anno in occasione dei festeggiamenti dell'Unità con una mostra dedicata al Legnanino, tra i principali autori degli affreschi delle volte negli appartamenti. Conclusasi a settembre, il Palazzo non ha però chiuso i battenti, tutt'altro. Saggiamente la Soprintendenza ha mantenuto l'apertura, benché parzialmente limitata rispetto a quella precedente.
Il giro dunque prevede la visita allo scalone, l'affaccio sulla Camera, la discesa nelle ex cucine, la visita agli appartamenti "di mezzogiorno" in un tripudio di specchi e dorature.
Le visite sono obbligatorie, si svolgono ad orario con la solita modalità del chi prima arriva meglio alloggia, anche se di pubblico non ne ho visto poi molto, purtroppo. Però se siete in giro e pensate di visitarlo, fate un salto per prenotare la vostra visita. Il giro non è guidato, ma solo accompagnato dal personale di sorveglianza.
Appena ho tempo libero ci (ri)vado, fate altrettanto!

lunedì 5 dicembre 2011

La Palazzina di caccia di Stupinigi



Una delle funzioni a cui le regge sabaude dovevano assolvere era certamente quella della caccia. Principale attività ricreativa del principe, per tutta una serie di analogie con l'arte bellica, i Savoia praticavano l'una e l'altra con grande impegno. E' così sono giunte fino a noi due testimonianze estremamente significative in questo senso, testimonianze architettoniche, che mostrano bene quanto i Savoia si dedicassero a questa forma di reale intrattenimento: la Venaria Reale, e Stupinigi. Parliamo della seconda.
La Palazzina di Stupinigi è un kolossal di arti decorative, tra chinoiserie, "ghiacci" e tutto il resto; vi lavorò il gotha degli artisti di corte, e il risultato è sotto i nostri occhi. Dimora di Carlo Emanuele III e di Vittorio Amedeo III, poi di Camillo e Paolina Borghese, fu luogo di malinconici soggiorni per la regina Margherita, prima di essere dismessa da Vittorio Emanuele III e divenire quindi Museo del mobile. 
Ora, Stupinigi è uno dei (numerosissimi) tasti dolenti di questa città: di proprietà del fallimentare Ordine Mauriziano, ha conosciuto negli anni un lento degrado, con conseguente chiusura, culminato nel clamoroso quanto tristemente famoso furto di oggetti preziosi (mobili) all'inizio del 2005, poi rinvenuti in un prato Villastellone (sic). 
Tralsciando le miserie, oggi si torna allo splendore. Perlomeno, a una parte di esso. Il 18 novembre scorso ha riaperto un po' in sordina i battenti al pubblico, reinserendosi prepotentemente nel panorama dell'offerta culturale torinese. 
Ma qui, come sempre, bisogna fare attenzione. Intanto, le visite sono ESCLUSIVAMENTE su prenotazione. Quindi, 800 329 329, che è il numero verde di Turismo Piemonte. Le visite sono tutte guidate da persone, così mi dicono (non ci sono ancora stato, verificherò domani!) molto preparate; durano circa un'ora e mezza. Considerate che si richiede di essere in biglietteria almeno mezz'ora prima dell'inizio della visita. Il percorso è limitato, non aspettiamoci di vedere tutto e subito -ingordi-:  si passa dalla scuderia alla biblioteca al salone centrale all'appartamento del duca del Chiablese. Non molto, ma è sempre Stupinigi.
Costo: 12 (dodici: sì, avete capito bene) euro; 8 euro per gli over 65 e giovani dai 12 ai 26 anni; scuole 5 euro a studente; gratis con la carta musei (che sempre più si dimostra indispensabile).
Orari: dalle 10 alle 17, tutti i giorni -il che già di per sé fa notizia un museo aperto di lunedì-, visite ogni mezz'ora, nel weekend ogni quarto d'ora.
L'apertura sarà fino al 9 aprile 2012 -ci saranno proroghe? mah..-, poi verrà probabilmente chiusa di nuovo per proseguire i lavori. Io non me la perdo: e se per caso siete in giro e non sapete poi cosa fare, o fate un giro al carrefour di Nichelino, oppure fate un salto a Moncalieri, il suo centro e il suo castello, che male non fa.
Come arrivare a Stupinigi con i mezzi pubblici? Col 41! Lo si prende a stazione Lingotto (FS, non metro), oppure piazza Caio Mario, dove fa capolinea pure il 4. E poi fermata Stupinigi. Direi facile..

sabato 3 dicembre 2011

Filippo Juvarra

Un doveroso chiarimento. A scanso di equivoci, la citazione-titolo di questo blog è una frase pronunciata da Filippo Juvarra, uno di quei personaggi contro cui a Torino ci si sbatte il naso ogni volta che si gira un angolo. Ma allora, chi era costui? Probabilmente tutti spaete che si trattava di un architetto. Forse pochi sanno che si tratta di uno degli architetti più importanti per quegli anni in Europa. Il buon Pippo proveniva da Messina, e si fa largo in quel di Roma come architetto e scenografo grazie al sostegno del super-cardinale Pietro Ottoboni, per descrivere il quale diremo semplicemente che fu il padrino di battesimo di Pietro Trapassi - ergo Metastasio. Insomma un nome, un programma. Era evidentemente già noto Juvarra allorché Vittorio Amedeo II di Savoia, giunto in Sicilia nel 1714 per prendere possesso dell'isola, conseguentemente agli accordi di pace che avevano chiuso quell'anno la guerra di successione spagnola, volle chiamare il 35enne architetto a Torino per dare nuovo volto alla città divenuta capitale di un regno. E Juvarra era talmente vulcanico che in effetti produce una quantità sorprendente di progetti per la "nuova" città. Peccato che per uno Stato in continua attività belligerante come quello sabaudo il problema più grande era trovare i soldi per meraviglie così dispendiose: tanto che, di tutto ciò che fu progettato, solo una parte possiamo oggi apprezzarla in città. 
Allora vediamo questi capolavori juvarriani:
- facciata e scalone di Palazzo Madama: "applicata" all'edificio tardogotico per mascherarne la vetustà, è uno degli ambienti che personalmente prefersico
- dentro Palazzo Reale, la scala "delle forbici" che porta al secondo piano e il cabinet alla cinese del primo piano
- la facciata della chiesa di Santa Cristina, in piazza San Carlo
- San Filippo Neri, in via Maria Vittoria, poco oltre il museo egizio
- la parte finale del campanile del Duomo
- Palazzo Birago di Borgaro, in via Carlo Alberto, davanti al palazzo della Provincia (dal Pozzo della Cisterna)
- la chiesa della Madonna del Carmine, in via del Carmine 3, nel quadrilatero
- la Basilica di Superga, sulla collina della città
- la Palazzina di caccia di Stupinigi
- la Galleria Grande, la chiesa di Sant'Uberto e le scuderie+citroniera nella Reggia di Venaria Reale. 
Ciò che di significativo c'è da comprendere per le architetture juvarriane, ciò che salta più all'occhio, è il sapiente utilizzo che Juvarra fa della luce, che diviene elemento architettonico e al tempo stesso protagonista dello spazio: da qui l'uso delle grandi vetrate e soprattutto l'uso del colore chiaro, novità assoluta rispetto alla ridondanza di colori di matrice romana praticata negli interni alla fine del '600. La semplicità, il rigore, la sobrietà (che va tanto di moda) sono le cifre stilistiche di uno dei maggiori architetti di sempre. Tutto da godere.